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Periferie di Roma, Primavalle: lotte e sogni perduti

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primavalle, case“Questo una volta era un quartiere duro” dice il ferramenta dietro via Pasquale II “una borgata rossa che ha vissuto da dentro i grandi movimenti degli anni ‘60 e ’70”. Tempi in cui crescere a Primavalle significava trovarsi nel cuore del tumulto politico, lì dove la storia brucia più velocemente.“Oggi è una periferia dove la gente ha perso fiducia nella politica e nel futuro –prosegue il negoziante- e dove la crisi ha sciupato il senso di comunità e appartenenza”.
Un fatto insolito da queste parti, considerando che lo sviluppo di Primavalle è frutto del lavoro autogestito degli abitanti: Via di Forte Braschi, collegamento cruciale con via della Pineta Sacchetti, è nata pezzo dopo pezzo negli anni ’70 strappando terreno alla campagna incolta. E’ quel passato di lotta armata e spacciatori gambizzati che ha condannato a lungo il quartiere, ancora alle prese con una brutta reputazione pure se le cose sono cambiate.
“La malavita, i regolamenti di conti e lo spaccio feroce di droga non ci sono più –racconta il fruttivendolo di piazza Alfonso Capecelatro– oggi i problemi riguardano la vita di tutti i giorni e sono gli stessi di molte zone di Roma”. I conti a fine mese e i soldi che non bastano mai. “Eppure quando nomini Primavalle –dice il commerciante- la diffidenza viene subito a galla”.
Sarà che qui la storia è impressa nelle strade: il Parco dedicato ad Annarella Bracci, la piccola trovata morta in fondo a un pozzo in Via La Nebbia, vicino Torrevecchia, nel febbraio del 1950 e il cui delitto è ancora avvolto dal mistero; il murales a piazza San Zaccaria Papa in ricordo di Mario Delle Cave, il 18enne travolto da un veicolo dei Carabinieri nel settembre 2011 mentre con lo scooter era fermo a un semaforo; Piazza Clemente XI ribattezzata dai residenti Piazza Mario Salvi, il “compagno” ucciso da un agente nell’aprile del ‘76. E ancora la targa per i fratelli Mattei, figli del segretario Msi del quartiere, morti bruciati nel tristemente noto rogo del 1973.

Storie di ieri. “Adesso c’è meno criminalità, meno spaccio, meno violenza”, raccontano due ragazzi seduti su un muretto in via Federico Borromeo. “Il quartiere è migliorato rispetto al passato –aggiungono- ma offre poco ai giovani, oltre al fatto che alcune cose proprio non vanno”. Come le case popolari, marchio di fabbrica del quartiere Primavalle, ristrutturate per metà e male; le strade piene di buche o il vecchio mercato coperto che fa fatica a sopravvivere.
“Gli interventi di manutenzione sono troppo scarsi –spiega Mauro, giovane architetto che vive a Primavalle- di recente, in piazza è stato sistemato il percorso per disabili, ma resta il problema dei parcheggi e di un degrado generale di cui dovrebbero occuparsi Municipio e Comune”.
I residenti sono stanchi di aspettare. La comunità, inoltre, non ha digerito lo sfregio al Parco Anna Bracci appena riqualificato, dove qualche teppista ha distrutto indisturbato diverse panchine e ricoperto di graffiti tutta l’area giochi dei bimbi.

Anche per i più piccoli, la biblioteca comunale intitolata a Franco Basaglia è diventata il punto di riferimento culturale della zona. “Qui organizziamo feste, eventi, letture a tema –spiega Milena, volontaria dell’associazione Auser- e nel pomeriggio persone di tutte le nazionalità affollano le numerose sale a disposizione”. I residenti sono in contatto fra loro anche primavalle biblioteca franco basagliagrazie a Facebook, dove è nato un gruppo sulla borgata per scambiare e condividere ricordi, informazioni, foto di ieri e di oggi.
Da qui si capisce che Primavalle non è solo una periferia di Roma: è un’atmosfera fatta di lotte e memoria. E di uno spirito comunitario antico che, seppur impalpabile, si avverte chiaramente nei vicoli e nelle strade di tutto il quartiere.

 
(Questo reportage è stato pubblicato anche sul quotidiano LaVeraCronaca.com)
Foto: Martina Lacerenza

Written by Cronache Bastarde

5 marzo 2014 at 12:10

Grecia: un Paese sotto shock

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Una crisi, esplosa a fine 2009, di cui non si vede la fine. E pensare che solamente cinque anni prima Atene aveva ospitato i giochi olimpici. Nessuno, all’epoca, avrebbe mai sospettato un simile disastro, che non ha precedenti in Europa dalla seconda guerra mondiale. La Grecia di oggi è più che mai devastata dalla disoccupazione e, mentre il governo locale svende aziende e beni pubblici, la popolazione è costretta a sopportare sacrifici sempre più estremi. Fino ad accalcarsi nelle piazze di Atene per la distribuzione di frutta e verdura offerte dai contadini. Il Daily Mail racconta di un uomo che, pochi giorni fa, è stato calpestato e ferito gravemente proprio per via della confusione causata dal cibo gratis distribuito dagli agricoltori.

I leader del vecchio continente impongono il rigore, ma non sono in grado di trovare una soluzione per aiutare l’economia greca a risollevarsi. E’ qui, allora, che il significato stesso dell’Unione Europea vacilla: all’unione monetaria non corrisponde l’unione politica e manca il sostegno fra gli Stati (che condividono, tra l’altro, una storia vecchia migliaia di anni). Se certi Paesi non vogliono sobbarcarsi i problemi degli altri, allora il termine “unione” perde di significato. E con esso il modello sociale che ne consegue.

La verità, anche se non fa più notizia, è che non c’è solidarietà fra i partner europei.
E che i greci sono stati lasciati soli, schiacciati dai debiti e dall’austerity.

(Il video qui sotto risale a tre giorni fa).

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10 febbraio 2013 at 11:25

Iva colada: la nuova protesta dei giovani precari

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Il posto fisso è noioso, ha ragione Monti. Perciò, per brindare all’allegria di una elettrizzante vita instabile  e senza certezze, i giovani precari hanno dato vita a un presidio sotto il Ministero del Lavoro, a Roma. Il bar a cielo aperto “da Ersa e Mario”, che distribuisce in via Veneto il cocktail del momento: l‘Iva colada, i cui ingredienti di uso quotidiano sono largamente reperibili sul mercato e accessibili a tutti. La ricetta prevede infatti una dose di pagasaltuaria (in alternativa va bene anche stagenonretribuito), mischiata a una dose di pregiata fintautonomia e, per uccidere anche la monotonia più recidiva, un pizzico di malattianonpagata. Roba forte: divertimento assicurato. Il pregiato cocktail, proprio per gli effetti alienanti che scatena, non è per tutti: occorre mostrare un certificato di laurea che attesti un’età non superiore ai 28 (sfigatissimi) anni.

Il Nostro Tempo è Adesso, la rete che raccoglie sul territorio varie associazioni di giovani, portando l’Iva colada in presidio davanti al ministero, protesta ironicamente per le condizioni dei tantissimi precari italiani alle prese con disoccupazione e odiosi contratti a tempo, tutt’altro che divertenti. Si tratta dei diritti ai quali è difficilissimo avere accesso: compenso equo, malattia,  maternità,  reddito,  formazione, casa.
Questa singolare manifestazione, così colorata nonostante la crisi nera, non rappresenta solo un’ iniziativa di protesta contro le proposte di riforma del mercato del lavoro avanzate dal governo, ma anche un modo per far sentire la voce propositiva e fresca dei manifestanti.
Il comitato, infatti, ha presentato un “decalogo contro la precarietà”: 10 proposte concrete per sconfiggere le avvilenti condizioni di vita connesse a impieghi senza stabilità.

1- Contratto stabile x lavoro stabile
2- Il lavoro deve essere pagato bene
3- Continuità di reddito
4- Reddito minimo d’inserimento
5- Non e’ una vecchiaia da giovani
6- Diritto di voto, di assemblea, di sciopero
7- Maternità, paternità, diritti universali
8- Diritto ad ammalarsi
9- Formazione continua (e garantita)
10- La casa

E’ inutile tentare di strumentalizzare i giovani. La storiella del lavoro noioso perché a tempo indeterminato, tanto, non se la bevono.

Written by Cronache Bastarde

10 febbraio 2012 at 10:36

Donne e lavoro: Italia vergognosa

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La questione è una di quelle che rende l’Italia un caso anomalo rispetto ad altri Paesi europei: il 37% delle donne italiane è costretta ad abbandonare il proprio lavoro per dedicarsi alla prole. A confermare ancora una volta come la cura dei figli implichi pesanti conseguenze sulla vita lavorativa femminile è l’ultimo rapporto Istat, secondo cui fra donne, lavoro e famiglia, all’inizio del 2012, c’è ancora in molti casi un rapporto conflittuale.
Sarebbero infatti 702 mila le occupate con figli minori di 8 anni che dichiarano di aver interrotto temporaneamente l’attività lavorativa per almeno un mese dopo la nascita del figlio più piccolo (il 37,5% del totale delle madri occupate). L’assenza temporanea dal lavoro per accudire i figli continua a riguardare, invece, solo una parte marginale di padri, malgrado la possibilità di poter anch’essi ricorrere al congedo parentale. In pratica 4 donne su 10 abbandonano il lavoro per badare ai figli.
Si tratta di uno squilibrio che, più in generale, rientra nella tendenza di far gravare sulle donne la responsabilità di cura di bambini, anziani e disabili. I motivi? Oltre al persistere di una mentalità fortemente sessista, la mancanza di servizi (e normative) in grado di sostenere le donne aiutandole a conciliare lavoro e famiglia. Ad essere penalizzate sono soprattutto le lavoratrici appartenenti alla classi centrali di età, tra le quali si registra uno scarto nei tassi di attività tra nubili e coniugate.
In sostanza, quando diventa più pressante la necessità di conciliare vita personale e professionale, il fattore genere diventa particolarmente discriminante circa la permanenza nel mercato del lavoro.

Una differenza ancora più fastidiosa in termini salariali, dato che le donne percepiscono in molti casi stipendi più bassi rispetto ai loro colleghi parigrado (un vero e proprio smacco per il 43% delle manager di piccola o media impresa che non ha figli).
Molte donne (il 22%) riferiscono poi di lavorare part-time proprio perché i servizi e le strutture per la cura dei bambini o degli anziani non autosufficienti sono assenti, inadeguati o hanno costi troppo elevati. E’ principalmente questo il vero e proprio ostacolo alla conciliazione tra vita familiare e lavorativa.
Secondo i dati dell’Eurostat, inoltre, l’Italia non solo è il Paese europeo con il più basso livello di occupazione femminile, largamente al di sotto della media dell’Ue, ma risulta essere allo stesso tempo uno di quelli col tasso minore di natalità, al penultimo posto davanti alla Spagna. Dati tutt’altro che incoraggianti, visto che sviluppo economico e situazione demografica dovrebbero andare di pari passo. Paesi come la Svezia, che negli ultimi 20 anni ha investito tantissimo su politiche sociali finalizzate alla parità tra i sessi, sono ora ai primi posti della classifica demografica europea.
La percentuale di utenza infantile italiana è infatti solo del 7%, contro la media del 30-40% dei Paesi del Centro e Nord Europa. E questo non solo perché gli orari di apertura e chiusura degli asili spesso non coincidono con quelli lavorativi delle madri, ma anche perché gli asili pubblici per i piccoli sotto i tre anni non sono aumentati, al contrario di quelli privati che sono passati dal 7 al 20% dell’offerta totale negli ultimi 10 anni.
Fino a quando la maternità verrà vista negativamente in ambito lavorativo continuerà ad essere estremamente difficile, per molte donne, ambire alla completa realizzazione personale. Il Ministro Elsa Fornero, in diverse occasioni, ha lanciato un condivisibile invito all’uguaglianza dei ruoli nella coppia. Ma quanto tempo (e in che modo) si potrà scardinare lo stereotipo del maschio capofamiglia? Non sarebbe più opportuno cominciare con concrete politiche di occupabilità in grado di valorizzare per via legislativa la forza lavoro femminile in tutti i settori?

(Questo mio articolo è stato pubblicato originariamente su laveracronaca.com)

Written by Cronache Bastarde

24 gennaio 2012 at 17:52

Pubblicato su Donne

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Giovani e laureati: il posto fisso non è da sfigati!

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Il monologo di Monti a canale 5 è stato abbastanza inquietante, non solo per l’ assenza di contraddittorio tipica delle reti non indipendenti. A bruciare come uno schiaffo è stata quell’uscita così infelice: “il posto fisso è noioso”. Eh no. Sarà noioso forse per tuo figlio, che di certo non paga le conseguenze economiche della crisi, ma per i tantissimi giovani precari e disoccupati del nostro Paese il contratto a tempo indeterminato resta fondamentale per le prospettive future di vita.

Con la crisi diminuiscono, infatti, le stabilizzazioni e aumentano le difficoltà. A pagarne le conseguenze sulla propria pelle è proprio quel mezzo milione di precari licenziati dal 2008, in particolare donne, laureati e residenti al Sud. In Italia il il 25% dei 18-29 enni è assunto infatti con un contratto non a tempo indeterminato, contro la media nazionale del 65,5%.
Lo rivela una recente indagine Isfol Plus sull’offerta di lavoro. Secondo il dossier la percentuale di apprendisti nel nostro Paese è ferma all’1,4% e quella dei lavoratori italiani con un contratto atipico arriva al 12,4%: cifra che sale fino al 25% tra i giovani, con le donne (15,5%), i laureati (17,8%) e i residenti nelle regioni meridionali (14,2%) più coinvolti nel lavoro non standard.
Condizioni stagnanti del mercato del lavoro e contratti a termine al massimo di un anno: è questa l’impietosa fotografia scattata dal centro di statistica.
Nel periodo 2008-2010, il 37% degli atipici è passato a un’occupazione standard, ma il 43,1% è rimasto nella condizione originaria e circa il 20% è finito nell’area dei senza lavoro. Tra chi era in cerca di un’occupazione, poi, 6 su 10 sono rimasti nella stessa condizione e poco meno del 10% è confluito nell’inattività. In generale i dati mostrano come il mondo del lavoro sia sempre meno permeabile, unitamente alla stabilizzazione delle posizioni lavorative che diventa più difficile di anno in anno.

Anche la velocità di trasformazione e di conversione dei contratti flessibili in occupazioni stabili si è ridotta e gli esiti negativi sono aumentati: segnale che la crisi l’hanno pagata in particolare gli atipici e coloro che nel mondo del lavoro ancora non erano entrati a fine 2008. In quell’anno, infatti, L’Italia ha assistito alla fuoriuscita dal mondo del lavoro di quasi mezzo milioni di lavoratori atipici.
Le percentuali più alte nel sistema della precarietà riguardano i laureati, insieme alle donne e alle persone che risiedono nel Mezzogiorno. Secondo la Cgil è un dato che, senza interventi strutturali, sarebbe destinato ad aumentare perché la percentuale di trasformazione in lavoro standard è in drastico calo mentre aumenta il numero di chi finisce nell’area della disoccupazione.
Ma cosa occorre per fare uscire un’intera generazione dalla precarietà? “Tagliare le forme di lavoro precario e rendere più costosa la precarietà, puntare sull’apprendistato, dare tutele a tutti i giovani precari che ne sono privi, usare la leva degli incentivi per trasformare questo stock di precarietà in lavoro stabile”, spiega la confederazione. Tuttavia una concreta riforma del mercato del lavoro ancora non è stata definita dal Ministero preposto.

Infine, secondo uno studio pubblicato in queste ore dall’Eurostat, all’interno dell’Ue l’Italia ha il numero più alto di lavoratori “senza speranza”: 2,7 milioni, ovvero l’11,1% della forza lavoro. Significa più precisamente che una persona su tre senza speranza di trovare lavoro è italiana. Il nostro Paese è quindi lo Stato europeo con il maggiore esercito di persone senza fiducia nel mercato del lavoro. Se si restringe il campo alla sola eurozona, i lavoratori “senza speranza” sono oltre 5 milioni.
In questo caso è italiano addirittura uno su due.

Written by Cronache Bastarde

7 gennaio 2012 at 18:28